lunedì 30 luglio 2012

Alla ricerca della terra, la mia terra



Mia sorella quando è tornata dall'India mi ha regalato un quadernetto bellissimo che ho inaugurato l'anno scorso, più o meno in questo periodo, mentre mi trovavo a Parigi.

Non ho scritto molto, ma ho trovato una cosa piuttosto interessante, che ora, con una profondità nuova e una serie di consapevolezze in più, viene riconfermata ma su un piano superiore e in un modo più netto.

Questo quaderno profuma di fiori.
Vorrei che anche la mia vita profumasse di fiori ed emanasse un'energia positiva.
Devo capire qual è la mia essenza qual è il mio profumo, e sprigionarlo.
Come donna ho la necessaità di ritrovarmi nella terra e nei suoi odori, di ritirarmi nelle sue profondità per ritrovare la mia casa, la mia dimora, il mio luogo natale.
Devo trovare anche questa realtà, e tuffarmici.

Io inciampo sempre - e da sempre - quando cammino.
  
Oggi più che mai è per me necessario recuperare il legame con la terra, scoprire la sicurezza negli aspetti basilari dell'esistenza, trovare il mio baricentro ed equilibrio.

Muladhara, il primo chakra, indica la via, che si snoda in una coscienza fondata su certezza, sicurezza, fiducia, simbolo di radicamento e solidità.

Ma la terra manca sotto i piedi quando ci si trova nel limbo.

Lo spazio bianco è quello in cui le decisioni non posso essere prese, in cui non si può fare altro che mettercela tutta e aspettare che il futuro si snodi poco alla volta sotto i propri occhi. Non tutte le scelte sono nelle nostre mani, alcune cose non si possono controllare, alcune decisioni sulla propria vita sono in mano di altri.

Anche questa è una lezione da imparare, la terra, la propria terra, si può trovare quando si rimane saldi in se stessi anche se non tutto dipende da noi, quando si impara ad aspettare senza timore, quando si resta in contatto con il mondo senza esserne in balìa, senza farsi influenzare dalle oscurità e i riflessi della luce lunare, ma si impara a guardare tramite gli occhi del Sole. Allora gli inevitabili chiaro-scuri della vita forse potranno trasformarsi da incubi di stupri e rapimenti di bambini in sogni che rivelano sempre più qualcosa di sé e degli altri, nella speranza che gli occhi azzurro cielo, che da prima che nascessi ti guardano con amore, non diventino mai ciechi.

Non si tratta allora quasi nemmeno di camminare con le proprie gambe, non ancora, ma di apprendere a come stare in piedi, a stare seduti, a fermarsi in una posizione di radicamento in cui le energie tra sé e la terra fluiscono incessantemente.

Devo imparare a tenere la schiena sempre dritta, lo sguardo costantemente rivolto in avanti, le orecchie attive per l'ascolto del silenzio dell'altro, la voce pronta per fare domande e consolare, i palmi non più rivolti verso il cielo, ma verso la terra, verso Gaia, la madre di tutti.

martedì 24 luglio 2012

Goodbye, kiss


Doomed from the start 
We met with a goodbye kiss, I broke my wrist It all kicked off, I had no choice 
You said that you didn't mind 'cause love's hard to find  
Maybe the days we had are gone, living in silence for too long 
Open your eyes and what do you see? 
No more laughs, no more photographs  

Turning slowly, looking back, see 
 No words, can save this, you're broken and I'm pissed 
Run along like I'm supposed to, be the man I ought to  
Rock and Roll, sent us insane, I hope someday that we will meet again 

Running wild  
Giving it everyone, now that's all done 
Cause we burnt out, that's what you do 
When you have everything, it can't be true 
 Maybe the days we had are gone, living in silence for too long 
Open you're eyes and what do you see? 
The last stand, let go of my hand 

Turning slowly, looking back, see 
  No words, can save this, you're broken and I'm pissed 
Run along like I'm supposed to, be the man I ought to 
Rock and Roll, sent us insane, 
I hope someday that we will meet again 
You go your way and I'll go my way 
No words can save us, this lifestyle made us 
Run along like I'm supposed to, be the man I ought to 
Rock and Roll, sent us insane, I hope someday that we will meet again 

Una notte sono stata svegliata da questa canzone. Il riff mi è entrato nel cervello senza che sapessi di che canzone si trattasse. Ho fatto solo in tempo a spegnere la tv e a riaddormentarmi.
Nei giorni successivi mi ritornava in mente di continuo, l'ho cercata ipotizzando diversi gruppi ma non l'ho trovata fino a quando in un negozio l'hanno suonata alla radio e shazam ha colmato il mio dubbio: Goodbye kiss dei Kasabian.
Adesso mi piace ascoltarla la sera tardi prima di andare a dormire oppure la mattina appena sveglia mentre mi preparo il the.  
 
Le note sdolcinate di questa storia d'amore finita mi rassicurano in un certo modo, il loro continuo ripetersi senza sosta crea un loop positivo che mi ricorda il mondo dei sogni da cui mi hanno svegliata quella notte senza infastidirmi.
D'estate basta poco per stare bene: una bella canzone e un angolino in cui sdraiarsi e da cui guardare il mondo.

giovedì 19 luglio 2012

Intervista a generAzione rivista: "Funamboli, sul filo della precarietà"



Chi c'è dietro a generAzione rivista

Iuri Moscardi, 26 anni, della provincia di Brescia ma abito a Milano. Per 3 mesi sarò stagista come correttore di bozze al Corriere della Sera.
Clara Ramazzotti, 24 anni, studentessa di Storia a Milano e ancora incerta su cosa fare davvero.

Abbiamo pensato di intervistarvi perché all’interno del progetto editoriale generAzione rivista avete creato un numero speciale che ha attirato la nostra attenzione. Ma prima di parlare di questo, ci raccontate in breve il vostro magazine?

generAzione rivista è nata a settembre del 2008 dopo il Festivaletteratura di Mantova da un gruppo di ragazzi, tra cui Iuri, uniti dall’aver svolto lo stesso tipo di impegno come volontari durante la settimana del Festival. Questo ha significato vivere insieme e condividere esperienze e anche una certa visione delle cose; dall’entusiasmo di quella settimana è nata la rivista. generAzione è sempre stata online (finora abbiamo stampato solo due numeri) e finora ha prodotto 21 numeri (ognuno basato su un tema scelto insieme da tutti e descritto con racconti, poesie o brevi saggi). Inizialmente eravamo molto ‘impegnati’, scrivevamo sempre con un occhio alla società; crescendo, abbiamo dato spazio anche alla sperimentazione letteraria e a tematiche che sentiamo specifiche del nostro target d’età (20-30 anni), sia come redattori che come lettori. All’inizio facevamo solo la rivista mentre ora abbiamo ampliato la parte online (rubriche e reportage mensili o settimanali), l’uso dei social network, la partecipazione a eventi (l’ultimo il 7 giugno a Milano, al Festival Letteratura Milano) e anche i contatti e le collaborazioni con il mondo editoriale.

Cosa significa per voi generAzione rivista?

È uno spazio per parlare, dire la nostra, ma anche per riflettere e conoscersi, per sviluppare competenze di scrittura e anche per stringere amicizie. Per me e Clara, che la dirigiamo, è anche una sorta di lavoro perché ci occupa parecchie ore della giornata.

L’ultimo numero è stato un numero speciale, che avete chiamato: "Funamboli, sul filo della precarietà". Di che cosa si tratta?

Ognuno dei nostri numeri nasce dalla proposta di un redattore: non ci sono imposizioni gerarchiche.
Forse perché ormai siamo tutti laureati o prossimi alla laurea, in questo caso abbiamo tutti percepito come urgente il tema della precarietà. Da questo è nato il numero. Abbiamo cercato di non limitarci ai luoghi comuni e alle recriminazioni (purtroppo oramai consuete) che spesso si sentono relativamente a questo tema, ma abbiamo cercato – come sempre – di descriverlo a tutto tondo. E infatti il nostro discorso non riguarda solo il lavoro in sé ma proprio una sorta di precaria condizione esistenziale che sembra essere prerogativa della nostra generazione. Ne è nato un numero speciale, dove ci abbiamo tutti messo la faccia descrivendo le nostre particolari situazioni di vita e di lavoro e che tuttavia propone un messaggio se non di speranza almeno di lotta. Il titolo riassume tutto ciò: siamo un po’ come i funamboli, sospesi nel vuoto e privi di certezze.

A partire dal contesto che avete descritto prima, come si inserisce il numero speciale che avete realizzato?

È un numero sicuramente diverso perché non è fatto di racconti o poesie, quindi di “invenzioni”, ma di esperienze vere. Ci sembrava il modo migliore per trattare questo specifico tema. Sono tutti i nostri curriculum vitae in versione allungata, e anche uno sfogo per la frustrazione che, ammettiamo, c’è in questi anni.

Perché avete sentito l’esigenza di trattare proprio di questo tema?

Perché è sicuramente una delle preoccupazioni che ci riguarda più da vicino come persone. È sicuramente l’ostacolo più pesante che ci impedisce di realizzarci e forse è anche la situazione più difficile che, dopo l’Università, ci tocca affrontare. Non è colpa nostra se c’è, ma ci tocca quantomeno farci i conti.

Che aspettative avevate nel realizzare un numero simile?

Volevamo scrivere qualcosa di valido innanzitutto per noi: non tanto confessarci, ma almeno sfogarci o confidare le nostre idee e le nostre aspettative. E poi speriamo di aver scritto qualcosa in cui anche i nostri lettori, soprattutto quelli che vivono la stessa nostra situazione, si ritrovino. Per ogni commento, basta scriverci una mail (generazione@generazionerivista.com) e saremo disponibili al confronto con chiunque. Anche con chi, magari, pensa che esageriamo o che non siamo messi poi così male.

Quali sono i vostri propositi per il futuro? Sia per generAzione rivista, che personalmente (sì, dopo aver letto questo numero ed esserci ritrovati in esso, ebbene, siamo curiosi!).

Per generAzione i propositi sono per natura precari: è un progetto che cresce ma che ci richiede sempre più tempo. Come tanti altri progetti simili, potrebbe chiudere a breve o continuare per decenni, chissà.
Iuri sta cercando una sistemazione lavorativa a Milano: ora ha per tre mesi uno stage, nel frattempo cercherà altro (magari anche un dottorato, chissà). A noi piacerebbe molto lavorare nell’editoria, ecco perché anche generAzione per noi è impegno ed esercizio. Più o meno è come fare uno stage…da 5 anni!




Per entrare in contatto con generAzione rivista:
generazione@generazionerivista.com
Direttamente da Thema.

mercoledì 11 luglio 2012

Il rispetto del silenzio dopo Auschwitz: Jean-François Lyotard


Jean-François Lyotard (1924-1998) è uno dei campioni del postmoderno, quel movimento di pensiero che ha riconosciuto la fine della modernità a seguito del fallimento dei suoi progetti egemonici di affermazione del dominio assoluto dell'Io tramite le sue rappresentazioni della realtà.

Secondo Lyotard dopo Auschwitz non è più possibile pensare con la mentalità moderna, perché il suo esito è stato appunto l'Olocausto. Questo non significa che il passato vada dimenticato, bensì di esso si deve portare memoria per muovere poi da una prospettiva nuova, che nasce nel solco del ricordo di cosa è stato.

Si tratta di non pretendere più di voler inquadrare il reale in una prospettiva definitiva, di credere che sia possibile raggiungere la Verità, l'Idea, ma rendersi conto che tutt'al più si può solo fornire una prospettiva tra le altre, in un'innegabile tensione kantiana verso l'incondizionato.

Solo una presa di consapevolezza simile permetterà alle vittime di Auschwitz di divenirne testimoni e di fare anche di noi stessi dei testimoni nel momento in cui sapremo riconoscere che anche il silenzio è una frase, e, in particolare, quando imposto, la frase che evidenzia la negazione di una libertà, la libertà di essere diversi.

mercoledì 4 luglio 2012

Musica dal mondo per un'estate all'insegna della pluralità

 

Quando la sera tira un po' di vento e si riesce a tirare un sospiro di sollievo terminata un'altra giornata di lavoro e di impegni, un buon modo per rilassarsi può essere quello di distrarsi lasciandosi allietare da un bel concerto.

A Milano le occasioni non mancano e tra festival di varia natura è possibile appagare gusti anche molto diversi.

A chi piace sperimentare, confrontarsi con realtà diverse e avere a che fare con suoni legati anche a tradizioni culturali molto lontani dai nostri, allora forse in particolare potrebbe interessare la XIX edizione dei Notturni in villa, che riunirà nelle prossime settimane un gran numero di artisti provenienti da tutto il mondo e che rappresentano l'incontro di visioni e comprensioni differenti della musica. La prospettiva che guida quest'ultima edizione del festival è quella di mostrare che la musica è veramente capace di andare al di là di tutti i confini con commistioni e ibridazioni spesso inattese e originali.

A me un po' di curiosità di vedere com'è possibile suonare insieme Mozart e la musica zulu è venuta, voi che ne dite?

Direttamente da MilanoFree.

domenica 1 luglio 2012

Vi auguro di esservi trasformati in farfalle



Questo credo che sia un dialogo che tutti vorremmo essere in grado di avere prima della morte - nostra e degli altri. Credo che proverò a pensare a questo quando accadranno ancora cose così brutte.

Ultimamente mi è capitato spesso di pensare alla morte, soprattutto a quella dei miei cari. Anche perché, da Lévinas, ho imparato (poi, quando sarà il tempo, vedremo quanto) che può far più paura la morte delle persone che si hanno vicine piuttosto che la propria. 

Di certo fa più soffrire, perché, molto epicurianamente "Quando c'è la morte non ci sei tu", è inutile temere la propria morte di per sé. Certo, quello che si teme è più che altro la paura di quel non esserci e proprio l'angoscia della mortalità è una consapevolezza che ci spezza dentro, ma è anche quello che (almeno così dicevano prima Hegel e poi Heidegger) ci rende veramente uomini.

La nostra morte però, noi la scopriamo a partire da quella degli altri, che può avvenire silenziosamente, improvvisa, attesa, lentamente, a un'età avanzata oppure quando si è troppo giovani - come potrebbe essere la nostra del resto. Vedendo gli altri morire noi ci rendiamo conto che anche noi moriremo, un giorno, non si sa quando. 

Forse è solo perché sono giovane che penso soprattutto alla morte degli altri, piuttosto che alla mia. Perché se in generale alla mia morte non ci penso e quando ci penso mi rendo conto che alla mia morte non potrei sopravvivere, e questa certezza in qualche modo mi rassicura, credo che potrei non essere capace di reggere il dolore per la scomparsa di alcune persone che ora mi sono vicine.

C'è un tempo per ogni cosa (almeno in teoria...) e per ora mi limito a chiedermi se vorrò avere anche io un funerale con il rito cristiano, che più che un'esorcizzazione del dolore mi sembra un'esaltazione della morbosità umana. 

L'unica certezza è che vorrei restare nel cuore delle persone che mi hanno amata, anche vivere nei loro sogni se lo vorranno, e trasformarmi in qualcosa di più bello di quello che sono stata, in un qualcosa che sia leggiadro ed elegante come una farfalla, magari azzurra.