venerdì 28 marzo 2014

Carlo Rovelli: "La realtà non è come ci appare"


Carlo Rovelli
La realtà non è come ci appare. La struttura elementare delle cose
Raffaello Cortina Editore, Milano 2014,
pp. 242, € 22

Nell’arco dei millenni della sua storia, l’uomo ha sempre accresciuto le sue conoscenze riguardo l’Universo. A partire dalla scoperta che la Terra non è piatta e che non è immobile al centro dell’Universo, si è arrivati fino alla consapevolezza dell’esistenza di galassie e buchi neri e si è compreso che tutto ciò che osserviamo e conosciamo ha avuto origine in un evento datato 14 miliardi di anni fa, il Big Bang.

Il XX secolo è stato segnato dall’emergere di due grandi scoperte in ambito fisico: la relatività generale e la teoria dei quanti, che conducono oggi a nuovi problemi legati alla concezione del tempo, dello spazio e della materia stessa. Queste problematiche possono essere sussunte nell’insieme di questioni aperte dalla gravità quantistica, che rappresenta il tentativo di rendere coerenti le due grandi scoperte di Einstein e Planck.

Alla comprensione di questa sfida della fisica contemporanea il lettore è guidato da Carlo Rovelli, creatore di una delle principali linee di ricerca di gravità quantistica e tra i fisici teorici più attenti alle implicazioni filosofiche dell’area scientifica. Rovelli si fa carico anche del lettore non fisico e lo accompagna in un viaggio che ha inizio a Mileto nel 450 a. C. con Talete e che prosegue passo dopo passo, da Democrito e Aristotele passando per Galileo e Newton, fino a Einstein, Planck e ancora oltre.

Questo viaggio conduce nel profondo del mondo della fisica, della quale risultati e problemi possono essere compresi nella loro interezza e complessità unicamente se l’attenzione si rivolge al passato e quindi alla loro origine. È allora con uno sguardo d’insieme sulla storia di filosofia e scienza, un tempo strettamente intrecciate, che si scopre che molti guadagni della fisica hanno radici antiche: come l’ipotesi atomica, proposta dal greco Democrito più di duemila anni prima della prova definitiva di Einstein; oppure la decisione di creare un sistema con al centro il Sole invece della Terra di Copernico, che nacque dal desiderio dell’astronomo di correggere l’Almagesto di Tolomeo.


Rovelli insegna che la fisica contemporanea non è solo un insieme di formule ed ipotesi che via via allargano la nostra conoscenza, ma la storia di uomini che sin dall’antichità si sono interrogati rivolgendo il proprio sguardo al di là di se stessi, verso le realtà nascoste e sconfinate dell’Universo. 

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Direttamente da Nuova Secondaria.

mercoledì 29 gennaio 2014

Postcards from Paris #2: il cocktail


Una cosa che ho imparato lavorando nell'ambito della comunicazione è che i contatti sono un aspetto fondamentale nella vita lavorativa e che è fondamentale saperci fare con le persone ed essere in grado di gestire con abilità le pr: con chiunque un giorno potrebbe nascere un partenariato, una società, un'amicizia. 

In questo contesto, è necessario non solo di mantenere i contatti esistenti o coltivare quelli presenti in realtà normalmente frequentate, ma andare più in là e spingersi fino a crearne di nuovi, da zero, anche se di legami apparentemente non ce ne sono.

Ma come si può arrivare ad ottenere nuovi contatti?

L'obiettivo di questo post è di raccontarvi che a Parigi esiste un metodo perfetto per conoscere nuove persone: il "cocktail".

I cocktails non sono nient'altro che eventi (per lo più serali), che vengono organizzati a seguito di una conferenza, una premiazione, oppure che sono pensati per festeggiare il compleanno di una società o semplicemente per farsi conoscere. Per questo motivo, per partecipare ad un cocktail non si deve pagare l'ingresso, perché il prezzo del biglietto è la propria presenza, guarnita non solo di competenze personali e del proprio progetto di vita e lavoro, ma di un carnet di biglietti da visita e di conoscenze.

Partecipare ad un cocktail a Parigi non è difficile, basta iscriversi alle newsletters giuste. Individuato il campo d'interesse vanno spulciati i siti di istituzioni, imprese o agenzie e concedergli la propria mail: presto o tardi gli inviti cominceranno a fioccare e per i motivi più disparati. A questo punto non resta che iscriversi a tutti gli eventi potenzialmente interessanti per evitare di restare a bocca asciutta (perché in genere hanno un numero limitato di posti) e il giorno prescelto decidere se effettivamente ne può valer la pena (può capitare anche che si accavallino più eventi in una sera, a voi la decisione).

E' vero che non tutti i cocktail sono uguali e ci sono ambienti che si prestano meglio di altri alle chiacchiere, anche perché non sempre i frequentatori sono persone interessanti per il proprio mestiere. Per questo occorre diffidare soprattutto degli eventi offerti dal Comune di Parigi, che essendo i più noti, spesso vedono la presenza della fauna di coloro che approfittano del momento del cocktail per lanciarsi (letteralmente) sui buffet e per riempirsi, oltre allo stomaco, la borsetta (una volta ho visto uno sciame di persone inseguire un cameriere con un vassoio di macarones, sembravano avvoltoi, rimpiango ancora di non aver fatto in tempo a fare un video). Atteggiamenti che, nonostante i tempi di crisi, oltre ad essere deprecabili creano anche un po' di confusione.

Per chi al cocktail vuole andare per obiettivi diversi dal rifocillamento, una volta giunto il momento bisogna armarsi di voglia di fare conoscenza, di un bel bicchiere di champagne e buttarsi nella mischia. La riuscita è quasi sempre certa se si è abbastanza intraprendenti e se si ha qualcosa di interessante da dire, perché alla fine l'obiettivo di tutti i presenti è lo stesso: conoscere nuove persone.

Certo, ci sono alcuni trucchetti utili per attaccare bottone o per staccarsi da un chiacchierone che però non ha nulla di interessante da offrire, ma che punta ad ottenere solo il vostro biglietto da visita, come iniziare con un complimento o fuggire con la scusa della persona che ti sta aspettando dall'altra parte della sala (molto più sicuro della scusa della sigaretta o di un altro bicchiere di champagne).

A fine serata non resterà poi che fare la conta dei preziosi cartoncini ottenuti e, perché no, aggiungere un piccolo commento nel caso il contatto sia particolarmente interessante. Poi non dimenticatevi di LinkedIn (e Viadeo per i francesi), sempre utile per creare un ulteriore legame con le persone conosciute e mostrare anche la vostra poliedricità ed i vostri interessi lavorativi.

Infine, per la riuscita del cocktail perfetto, rimane un ultimo, ma fondamentale, accorgimento: ricordate che "cocktail" a Parigi fa rima con "champagne", perciò il divertimento è assicurato!

lunedì 25 novembre 2013

Giornata Mondiale contro la violenza sulle Donne: contro gli stereotipi nella pubblicità


In occasione della Giornata Mondiale contro la violenza sulle Donne, voglio proporvi di guardare un video fatto da alcuni studenti dell'Università di Saskatchewan in Canada.

Messo in linea lo scorso aprile come risultato di un corso dove gli studenti si sono dovuti interrogare sulla rappresentazione di genere nella pubblicità, il video denuncia gli stereotipi misogini presenti nelle pubblicità e ha già superato i 2 milioni di visite su YouTube. 

Gli stereotipi che riguardano le rappresentazioni delle donne nella pubblicità - denudate, sottomesse e spesso stupide - e quelle degli uomini - virili, forti e dominatori - non sono di certo una novità dei nostri giorni - come provato anche dalle pubblicità presentate nel video -, ma quello contro cui i tre studenti candesi, Sarah Zelinski, Kayla Hatzel e Dylan Lambi-Raine, puntano il dito, è il legame tra le immagini veicolate dai media e la violenza sulle donne che caratterizza la nostra realtà sociale

La sessualizzazione sempre più violenta delle donne nelle pubblicità non può certo essere considerata la causa principale delle violenze sulle donne, ma, secondo questi giovani, i media giocano un ruolo importante nel modo con cui noi ci percepiamo l'un l'altro, sia dal punto di vista psicologico che fisico. Gli stereotipi proposti dalla pubblicità possono deformare il modo in cui percepiamo noi stessi e l'altro, sia che siamo uomini o donne, e modificare anche il nostro modo di agire e di essere.

Per contrastare questo fenomeno i tre studenti giocano d'ironia e propongono un'inversione di ruoli nelle pubblicità attraverso una parodia dei cliché che considerano devianti, trasformando le pubblicità in immagini ridicole ma, a mio giudizio, molto efficaci. L'idea che si trova alla base di questa inversione è che sia fondamentale guardare le pubblicità sempre con spirito critico, perché anche se le aziende pubblicitarie spendono miliardi per dirci come pensare, noi non dobbiamo farci "consumare dai media".



Il consiglio dei tre canadesi è più che valido, ma non credo che lo sforzo possa venire solo da parte nostra. In un mondo in cui le cifre della violenza sulle donne sono allarmanti*, credo sia di necessaria importanza allineare l'intero sistema mediatico e culturale ad una politica di rispetto di genere e che non istighi alla violenza, e non solo sulle donne.

Soprattutto in un mondo in cui paradossalmente la visibilità del video dei tre canadesi su YouTube è stata limitata per i suoi contenuti eccessivamente sensuali. Eppure... non è nient'altro che pubblicità!

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*In Canada, più di 3.000 donne vivono in situazioni precarie per sfuggire alle violenze domestiche e il 50% di donne di più di 16 anni sono state vittime almeno una volta di violenze sessuali o di attacchi fisici. Ogni sei giorni una donna è uccisa in Canada dal suo compagno e ogni 17 minuti una donna è violentata. 
In Italia, ogni due giorni e mezzo viene uccisa una donna e si stima che circa 7 milioni di donne, tra i 16 e i 70 anni, siano state vittime di abusi fisici o sessuali e circa un milione abbia subito stupri o tentati stupri. Circa il 34% delle donne ha subito violenza per mano del proprio partner, e il 24% di queste non lo ha mai denunciato.

sabato 9 novembre 2013

Che cosa potete acquistare con #1dollar?


I social networks non sono solo un luogo di informazione, di aggregazione e di condivisione di esperienze, essi possono rappresentare anche un buon mezzo per raggiungere le persone con un messaggio e cercare di sensibilizzarle ad alcuni temi di carattere sociale.

Un esempio è la campagna partecipativa #1dollar lanciata recentemente su Twitter dalla Banca Mondiale e che ha proposto agli internauti di tutto il mondo di rispondere alla seguente domanda: che cosa potete acquistare con un dollaro?

Con questa domanda, la Banca Mondiale ha deciso di sensibilizzare rispetto al tema della povertà che colpisce molti paesi nel mondo e che costringe quasi 1,2 miliardi di persone a vivere con l'equivalente di un dollaro (0,73 euro) al giorno.

Nel quadro di questa iniziativa, gli utilizzatori del social network sono invitati a postare una foto di quello che si può acquistare nel proprio paese con un dollaroDal lancio dell'operazione, lo scorso 9 ottobre, le foto su Twitter hanno cominciato ad arrivare da tutto il mondo e questa operazione simbolica ha così permesso di mettere in luce le disparità nel livello di vita nel mondo, ma, soprattutto, di rendere cosciente la popolazione mondiale che più di un miliardo di persone vivono con meno di un dollaro al giorno.

Per accompagnare questa campagna su Twitter, la Banca Mondiale ha anche attivato la petizione Zero Poverty che ha come fine quello di ampliare i programmi di lotta contro la povertà nel mondo.

L'obiettivo della Banca Mondiale è di lottare contro la povertà e ottenere dei risultati duraturi, che ne dite, l'aiutiamo anche noi? Per cominciare, basta un tweet.
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domenica 20 ottobre 2013

LinkedIn: uno strumento utile anche per gli studenti?


LinkedIn è un social network che mette in relazione i professionisti tra loro e che è stato creato nel 2003 in California. All'inizio del 2013 LinkedIn vantava già più di 200 milioni di membri appartenenti a più di 200 paesi e territori.

LinkedIn è piuttosto conosciuto e utilizzato dai professionisti perché permette non solo di mantenere i propri contatti lavorativi in un modo molto semplice, ma anche perché consente di aderire a gruppi di discussione su argomenti specializzati, nei quali è possibile intervenire e ricevere dei consigli riguardanti il mondo del lavoro.

Per quanto riguarda gli studenti, possono ottenere anche loro dei vantaggi utilizzando LinkedIn?

Anche se i giovani preferiscono in generale gli altri social networks, come Facebook o Twitter, i recrutatori considerano un di più avere una pagina su un social professionale, soprattutto se il profilo è ben gestito e l'utilizzatore attivo, ovvero quando aggiorna spesso il profilo e partecipa a dei gruppi di discussione.

Con l'obiettivo di attirare anche i più giovani, LinkedIn ha recentemente realizzato una campagna dedicata unicamente agli studenti basata su tre video che sono stati diffusi su YouTube e che ringiovaniscono la sua immagine. I video mostrano quale sia il valore di LinkedIn per gli studenti e danno dei consigli su come creare un profilo professionale e completo.

Di seguito riporto i cinque consigli per redigere un buon profilo che LinkedIn ha condiviso con tutti gli studenti del mondo:

1. scegliere una foto professionale: il miglior modo per cominciare bene!
2. scrivere una buona headline: è necessario spiegare con chiarezza chi siete e cosa volete fare in meno di 120 caratteri
3. raccontare la propria formazione: si tratta di descrivere i propri corsi e le competenze che hanno permesso di sviluppare
4. fare la lista delle proprie esperienze: questa lista può includere anche il volontariato, la vittoria di premi, i lavoretti fatti durante la propria vita, la partecipazione a gruppi studenteschi, ...
5. ottenere delle raccomandazioni: domandate al vostro capo o professore e fateli parlare di voi!

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Direttamente da Financetesetudes.com

sabato 5 ottobre 2013

Postcards from Paris #1: la metro



Quando comincio a chiedermi se dentro quei corpi alienati che incontro nella metropolitana di Parigi ci sia un'anima, in genere accadono due cose: o divento vittima di quello che ormai chiamo "lo sguardo assassino" oppure compare qualche personaggio strano che con i suoi atteggiamenti rivela una netta personalità.

Lo sguardo assassino è quell'occhiata rabbiosa che i parigini ti lanciano nel momento in cui vengono inavvertitamente urtati o spostati dal loro posto. Dopo aver vissuto a Milano per diversi anni, mi ero abituata alla classica nevrosi da mattina in metro che di solito comporta qualche lamentela ad alta voce e che si risolve con un: "Mi scusi, non era mia intenzione". Non sempre le scuse sono dovute, ma che ci si può fare, non è scontato che la gente dia il meglio di sé la mattina quando ci si trova pigiati come sardine e si deve andare a lavoro. 

Lo stesso vale anche per Parigi, ma sapete qual è la differenza? Che i parigini non ti danno la possibilità di chiudere la questione, perché, qualunque cosa accada, che sia insignificante o fastidiosa, loro ti concedono solo, per l'appunto, uno sguardo assassino. Non si lamentano né niente e quindi non ti puoi nemmeno scusare e magari farli calmare un po': qui vige il mutismo assoluto con solo occhi in fiamme annessi. Un accessorio che faccio fatica a spiegarmi: dove la trovano l'energia per essere già così arrabbiati la mattina nel bel mezzo del coma pre-lavoro?

Per quanto riguarda i cosiddetti personaggi, è da anni che ne sono convinta, ma è bastato poco tempo per darmene la conferma: Parigi possiede un sostrato di persone differenti invidiabile e, soprattutto, il luogo d'incontro migliore di queste persone è la metropolitana. 

La metropolitana di Parigi è già un'attrazione di per sé, tra la fermata sepolta sotto la Senna, i molteplici colori e numeri che, insieme a quelli della Rer, sembrano delineare un dipinto astratto, e i coniglietti rosa che avvertono di stare attenti a non lasciare le mani tra le porte quando stanno per chiudersi. La metro di Parigi è senza dubbio una delle metropolitane più calpestate del mondo, tanto quanto è una delle più scomode (sfido chiunque a non innervosirsi e, magari, imprecare quando con valigia e borsa si trova a salire il millesimo gradino senza scale mobili). 

In questo dedalo di scalini e treni affollati, spesso capita di incontrare seduta l'una vicina all'altra persone delle risme più differenti e che probabilmente non hanno nulla in comune a parte il fatto di trovarsi nello stesso vagone in metropolitana. Il pingue signorotto infagottato nel suo vestito di alta sartoria, la ventiquattrore e un appuntamento importante alle 15 può forse non soffrire lo skateboard che l'hisper sciarpa-cuffia-occhiali-tutto-multicolor vicino a lui continua a piantargli nel fianco, come l'hipster può non capire perché una giovane ragazza islamica che indossa il velo possa ridere così scherzosamente con le sue amiche. Eppure sono tutti lì, tutti insieme. La cosa più bella è che questo contatto diretto, forse non necessario ma inevitabile, è capace di raccontare molte storie.

Come quella dell'uomo di mezza età disoccupato che ormai non ha nulla di meglio da fare che passare le sue giornate a fare comizi sui vagoni del treno che riguardino il mondo del lavoro in Francia ed il governo di Hollande, in cui non crede più anche se lui è sempre stato di sinistra. Le sue parole risuonano solitarie nella metro circondato com'è da persone alle quali nell'insieme non gliene importa assolutamente nulla dei suoi discorsi ed, anzi, è già tanto se fanno finta di non sentirlo piuttosto che guardarlo male. 
In uno di quei bui pomeriggi, proprio nel momento in cui all'indifferenza generale cominciano a sommarsi risatine di presa in giro e sdegno, un ragazzo di colore vestito da gangsta prima di uscire dalla metro accende una sigaretta e la regala con un sorriso al signore del comizio. 
Il signore ringrazia, inizia a fumare e resta in silenzio. "Grazie a Dio", pensano quasi tutti i passeggeri della metropolitana. Da un angolo della metro, però, un artista con i capelli lunghi, chitarra e senza scarpe osserva il signore in silenzio, lo sguardo annebbiato da non si sa quale sogno o droga. Lui solo aspetta che il discorso riprenda.

Spesso accade che proprio mescolando persone diverse possano verificarsi anche le cose più inaspettate che, alle volte, sono anche quelle in cui si trova una più luminosa scia di empatia umana.

sabato 31 agosto 2013

I'm a flaming liberal

Certificate: Test results
Are you a Liberal, Conservative, or Centrist?


1001

For 68 % you are: You are a true blue Liberal. You'd die before you'd vote Republican.







Liberals…
  • Are wary of American arrogance and hypocrisy. 
  • Trace much of today's anti-American hatred to previous US foreign policies. 
  • Believe political solutions are inherently superior to military solutions. 
  • Believe the US is morally bound to intervene in humanitarian crises. 
  • Oppose American imperialism. 
  • Support international law, alliances, and agreements. 
  • Encourage US participation in the UN. 
  • Believe US economic policies must help lift up the world's poor. 
Historical liberal: President Woodrow Wilson

Modern liberal: President Jimmy Carter



36.8107 % of 25805 Quiz participants had this profile!


You could also get this result:

For 28 % you are: You are a Centrist. You vote according the problems the world is currently facing. You would vote democrat or republican.


Centrists…
  • Are guided more by practical considerations than ideological vision. 
  • Believe US power is crucial to successful diplomacy - and vice versa. 
  • Don't want US policy options unduly limited by world opinion or ethical considerations. 
  • Believe strong alliances are important to US interests. 
  • Weigh the political costs of foreign action 
  • Believe foreign intervention must be dictated by compelling national interest.
Historical Centrist: President Dwight D. Eisenhower

Modern Centrist: Secretary of State Colin Powell


Or even this one:


For 4 % you are: You are a red hearted Conservative. You'd die before you'd vote for a Democrat.


Conservatives…
  • Want the US to be the world's unchallenged superpower. 
  • Share unwavering support for Israel. 
  • Support American unilateral action. 
  • Support preemptive strikes to remove perceived threats to US security. 
  • Promote the development of an American empire. 
  • Equate American power with the potential for world peace. 
  • Seek to democratize the Arab world. 
  • Push regime change in states deemed threats to the US or its allies.


Historical neoconservative: President Teddy Roosevelt

Modern neoconservative: President Ronald Reagan




Durante la mia permanenza negli Stati Uniti ho imparato molto sul sistema politico statunitense e ho discusso parecchio sul sistema duale che vede la contrapposizione tra democratici/liberali e repubblicani/conservatori, ma, per non mettere troppa carne al fuoco, rimando le mie riflessioni sul tema ad un prossimo post.

Per ora invito anche voi a fare il test, vedere il risultato e magari rifletterci, chissà che non trarrete le mie stesse conclusioni. Se, una volta fatto il test, volete saperne qualcosa in più sulla differenza tra prospettiva democratica e repubblicana, vi consiglio di consultare il seguente link, che è davvero interessante e, a mio parere, ben fatto.

sabato 20 luglio 2013

Marie Laurencin: una vita in rosa e nero

L'ultima volta che sono stata a Parigi ho avuto occasione di vedere un museo davvero molto bello, il Marmottan. Questo museo, oltre a comprendere nella sua collezione bellissime opere di Claude Monet e Berthe Morisot, ospitava nel periodo in cui l'ho visitato una mostra stupenda dedicata a Marie Laurencin, pittrice di cui mi sono innamorata follemente.


Sono stata rapita dalle figure quasi diafane realizzate dall'artista. Figure chiare e luminose, candide come fantasmi di un'altra epoca e arricchite da colori pastello e sguardi profondi, con quegli occhi neri che risaltano quasi come unico dettaglio perfettamente delineato e che permettono a ogni opera di richiamarsi l'una con l'altra.

La liseuse (1913)
Le uniche opere che avevo visto della Laurencin erano al museo dell'Orangerie (presente il famoso ritratto di Coco Chanel? Ve lo metto sotto) e mi avevano già colpito molto per la loro delicatezza e sensibilità ai colori e alle forme. Ciò non toglie che quest'artista, così come molte altre artiste donne di quegli anni, sia pressoché sconosciuta o, perlomeno, quasi totalmente ignorata, tanto che la maggior parte delle sue opere si trovano a Tokyo. 


Portrait de Mademoiselle Chanel (1923)
Questo stato di cose fa sì che anche la storia della stessa Marie Laurencin sia ignota ai più, pur essendo davvero molto interessante. Come, del resto, lo sono tutte le storie degli artisti che hanno vissuto durante gli anni folli

Autoportrait (1905)
Marie Laurencin (1883-1956), detta "Coco", cresce come quasi-paria, in quanto figlia di una ragazza madre (scoprirà a trent'anni chi è effettivamente suo padre, dopo che lui era morto da molto tempo) e sin da giovane, pur contro il volere della madre, si dedica alla pittura iniziando con un corso di pittura su porcellana (così come aveva iniziato anche Renoir!).

Apollinaire et ses amis (1909)
All'accademia Fernand Humbert, il compagno di studi Georges Braque la convince a lasciare la porcellana per la pittura e da questo momento Marie Laurencin entra nell'ambiente dell'avanguardia iniziando a frequentare artisti del calibro di Juan Gris, Fernand Léger, Pablo Picasso e Guillame Apollinaire. Da questo momento la sua carriera e la sua fama sono in ascesa e "Coco" diviene un personaggio fondamentale degli ambienti sia di Montmartre che di Montparnasse.


Les deux espagnoles (1915)
Il successo di Marie Laurencin dura fino al 1929, anno della crisi economica che le fa perdere i suoi ricchi clienti e la costringe a insegnare in un'accademia d'arte. Da questo momento in poi l'arte di Laurencin entra in una fase di declino anche a causa della sua forte miopia che le rende difficile dipingere. 

Diane (1921)
L'arte di Laurencin è un viaggio in un mondo affascinante e dalle forti connotazioni femminili. La sua arte è estremamente personale e traduce perfettamente lo spirito della sua epoca, rappresentata con opere ricche di poesia e fascino, proprio come sono stati gli anni folli.

La danse (1919)
Marie Laurencin è una figura controcorrente sia per la sua arte che per la sua vita. Donna che si credeva brutta e che amava le donne, Laurencin fece parte di un gruppo di lesbiche molto importanti dal punto di vista artistico. di questo gruppo facevano infatti parte anche Gertrude Stein, sua prima committente, e Alice B. Toklas, principessa di Polignac. Inoltre, anche durante il suo breve matrimonio (1914-1921) con  il barone tedesco Otto van Wätjen, intrattenne un'abbondante corrispondenza amorosa con una donna, Nicole Groult.


La princesse de Clèves (1940-41)
Marie Laurencin viene ricordata oggi non solo come pittrice, ma anche come decoratrice e costumista (collaborò alla realizzazione dei costumi per i balletti russi). Dalle descrizioni di Picasso e Apollinaire durante gli anni folli emerge un carattere gaio e allegro, da "eterna bambina", un carattere grazie al quale la "fantastica e affascinante Coco", amica di pittori e scrittori, sedusse tutti, tanto gli uomini quanto le donne.

Trois jeunes femmes (1953)

sabato 6 luglio 2013

Essere milanese: cosa significa oggi?

"Smell map of Milan" di Olivia Alice

Negli anni che ho trascorso a Milano ho imparato un po' a conoscerla e ho compreso che la parola chiave di questa città è una e molto semplice: trasformazione

Milano è una città che non solo non sta mai ferma, ma che sopravvive proprio grazie a questo continuo movimento. Un movimento che, al di là del "produrre produrre produrre" che spesso si rivela fine a se stesso, germoglia nei terreni fertili di coloro che in questa città vedono l'occasione di esprimere se stessi in uno spazio che non rigetta il diverso, ma lo interiorizza e lo riqualifica con il marchio della milanesità.

La milanesitàUn concetto forse arduo da spiegare oggi, in un'epoca in cui i confini tra le culture rispecchiano quelli tra i territori: sempre più labili. Eppure è una parola che non è ancora stata esautorata dallo scorrere del tempo e degli stranieri che da secoli calpestano i suoi vicoli e le sue piazze. Rimane tuttora un'idea che attraversa questo termine e che denota qualcosa di netto, anche se forse non la si può più dire fino in fondo, o meglio, forse non si lascia più riempire da stereotipi ultimativi. 

Il passato insegna che il milanese è quello operoso, che punta all'affare ma con lungimiranza e tenendo sempre i piedi per terra. Ma Milano oggi è anche città di creativi e idealisti che raccontano uno stile di vita fatto di alacre festività, tra aperitivi, vernissage e serate in discoteca. Uno stile di vista non meno milanese del primo, ma che con esso non coincide. In quest'ottica è come se l'essere milanese si fosse fluidificato in un'identità più ampia, un'identità che preferisce fare spazio dentro di sé piuttosto che escludere a priori.


Ho avuto conferma di questa sensazione in una recente intervista che ho fatto a Giorgio Guaiti, autore del libro La vita è una schiscetta. Avventure di ogni giorno raccontate anche in milanese. Nel leggere il libro da alcuni racconti sembra emergere un’identità milanese che trova le sue radici nel passato, ma che, del resto, non esclude chi a Milano arriva in cerca di nuove opportunità.

Giorgio Guaiti mi ha spiegato che non è facile chiarire cosa sia la milanesità perché è difficile innanzitutto dire chi sono i milanesi per la mescolanza di popoli iniziata sin dall’epoca dei Comuni, e forse anche da prima. Probabilmente, però, è proprio in questa difficoltà che si trova la specificità che fa la ricchezza di Milano e che, nei secoli, l'ha resa quello che è. Infatti, come mi ha detto Guaiti:
Questa città accoglie migliaia e migliaia di “forestieri” che però finiscono per inserirsi nella città e per adeguarsi ai suoi ritmi di vita e al suo spirito. Forse, in fondo, il senso vero della milanesità è proprio questo: saper accogliere e dare un’opportunità a chi è disposto a lavorare in questa città e per questa città. Fino ad ora ha funzionato con gente che arrivava da altre zone della Lombardia, da altre regioni, da altre nazioni. Sarà interessante vedere se la ricetta funzionerà anche con chi oggi arriva da altre, anche lontanissime, parti del mondo. È questa la scommessa sul futuro di Milano.
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sabato 22 giugno 2013

Augenblick: l'istante è senza tempo


L'istante è senza tempo.
Leonardo Da Vinci


Ci sono giornate in cui piccole situazioni, determinati scorci e colori risvegliano ricordi e sentimenti sopiti, sepolti nei meandri del passato che racchiude in sé momenti importanti e vissuti con intensità, ma che si è lasciati alle spalle.

In queste occasioni rinascono vecchi desideri ed emozioni, la malinconia bussa alla porta e ci si ritrova come in trance a guardare fuori dalla finestra. Il tempo è come se si fermasse e tutto torna indietro a tanti anni prima, quando ogni cosa era un'altra anche se tu eri sempre tu, anche se adesso non lo sei più, non così.

Guardare indietro, magari saltando qualche anno e tornando a un momento preciso, è come vedere un film: a volte le cose sono talmente diverse che quasi non ci si riconosce più in quel passato, in quelle giornate vissute con amici e amori completamente diversi, in una routine che non esiste più, sepolta nel tempo. 

Eppure quel passato riaffiora provocando modi di sentire che si sovrappongono: il vissuto di un tempo trapassa il tempo attuale e le emozioni del vecchio tempo si mescolano con il modo attuale di percepire i ricordi. Può venire voglia di tornare indietro, oppure, all'opposto, di non tornare indietro mai. Vero è che con i ricordi non ci si trova in una situazione tertium non datur, e, per questo, si può desiderare di collegare il passato con il presente e ricercare quelle persone e quei momenti che sembravano perduti per sempre. 

I legami tra le persone non si chiudono mai del tutto, perché rimane sempre un filo di memoria che collega i vissuti e che permette imprevedibili riallacciamenti o netti desideri di una definitiva recisione. Quello che conta è trovare il momento giusto per entrambi, il momento in cui il passato riaffiora univocamente come desiderio comune di avvicinamento o ulteriore distanza, altrimenti il rischio è quello di soffrire ancora nel presente, così come era accaduto nel passato.

martedì 4 giugno 2013

Il coworking di Talent Garden: una filosofia fondata sulla passione


Oggi ho avuto l'occasione di visitare Talent Garden, un esempio di coworking unico del suo genere che non solo ha sede anche a Brescia, oltre a Milano, Bergamo, Pisa, Torino, Padova e Genova, ma che è nato proprio a Brescia. 

Del coworking ho letto sui libri e sentito parlare e sapevo dell'esistenza di Talent Garden da qualche tempo, per questo ho colto al volo l'opportunità di farci un salto per conoscerne da vicino la realtà.

Il coworking è un luogo che mette fisicamente uno di fianco all'altro professionisti che svolgono lavori diversi, per aziende differenti e che permette la contaminazione tra professioni e visioni del mondo.

Il coworking nasce come uno spazio dedicato ai lavoratori "nomadi", che non avendo un luogo fisso di lavoro affittano a tempo una scrivania e relativi servizi e per questo è un fenomeno che coinvolge soprattutto i freelance. In Italia, il coworking è in continua crescita e uno degli aspetti più interessanti consiste nel fatto che si stanno diffondendo sempre più spazi  di coworking "selettivi", di cui Talent Garden è un esempio.


Talent Garden è un "giardino" di 700 mq in cui possono crescere talenti dell'ambito della comunicazione e del web. La struttura di questa comunità, come ci ha spiegato oggi Lorenzo Maternini, Co-founder di Talent Garden, è prettamente verticale, a differenza di quella di altri esempi di coworking che hanno un carattere orizzontale (per cui si possono trovare nello stesso spazio persone che svolgono lavori completamente differenti, come elettricisti, falegnami ed esperti del web). 

L'obiettivo di Talent Garden è quello di avere nello stesso spazio persone con cui è possibile collaborare in modo stretto proprio perché vi è una condivisione di competenze che permette anche la delega vicendevole di determinati compiti (senza la necessità di contattare un esterno o di assumere qualcuno). In questo modo, sulla base del fatto che l'ambito è comune, la contaminazione tra prospettive e la possibilità di arricchire e creare progetti è decisamente più alta.

Proprio in funzione della contaminazione, Talent Garden seleziona i coworker (sulla base dell'attività che svolgono o del progetto che hanno in mente di realizzare) e ha organizzato gli spazi in modo da ottenere il massimo livello di socializzazione possibile per accelerare lo sviluppo di idee e progetti. Lo spazio è open space, anche se ci sono diverse sale riunioni, e oltre a tavoli e pouf dove rilassarsi, c'è anche la possibilità di farsi una partita a calcio balilla.



Lorenzo ha anche chiarito che il filtro principale per scegliere un coworker è la passione: è la passione per il proprio mestiere che porta i coworker a collaborare insieme e a condividere le proprie esperienze e conoscenze ed è sempre la passione che permette loro di rappresentare il proprio ambito al meglio garantendo uno standard di eccellenza. Per questo il modello di Talent Garden viene definito innanzitutto un "Passion working space".

La passione nei confronti di una professione, di un modo di vivere, di un ambito specifico è quello che permette di accorciare le distanze tra sé e il mondo e di vivere in sintonia con se stessi e la realtà. La passione porta a vivere il proprio destino e non a lasciarsi vivere, ad essere trascinati in un susseguirsi di eventi inevitabili così come lo scorrere del tempo.

I discorsi di Lorenzo, un ragazzo di 29 anni con alle spalle esperienze importanti, mi hanno ricordato il famoso "Stay Hungry. Stay Foolish" con cui Steve Jobs chiuse il suo celebre discorso tenuto di fronte ai laureandi dell'Università di Stanford nel 2005. Sono i discorsi di chi sa di aver raggiunto un obiettivo, ma non ancora il traguardo, sono le parole di chi ha deciso di prendere in mano la propria vita e anche di correre dei rischi per seguire la propria strada, non necessariamente senza tentennamenti o dubbi, ma di certo con coraggio. Parole  che possono essere anche un'ispirazione per coloro che questo coraggio pensano che non lo troveranno mai.

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Se vi ho incuriosito almeno un po', vi consiglio di guardare il seguente video!  


domenica 19 maggio 2013

Mille Miglia: ponte tra vecchi e nuovi esempi di brescianità

In questi giorni di Mille Miglia, se sei bresciano, sono due le sicurezze che porti con te: i turisti e la pioggia. Le Mille Miglia rappresentano l'evento mondano per eccellenza a Brescia e sono un po' come la settimana del design o della moda a Milano: una manifestazione che permette alla città di dare il meglio di sé e di mostrare tutta la sua vitalità, troppo spesso sopita sotto una coltre di nebbia e iperlavoro.

Con le Mille Miglia tutta la provincialità di Brescia viene spazzata via in un colpo e la città sembra aprirsi al mondo, come una rosa tardiva che si è presa più tempo del dovuto per rivelare al mondo i suoi colori e la sua fragranza.

Di fronte alle auto d'epoca gli eventi di oggi si mescolano con i ricordi di coloro che hanno visto o partecipato alle edizioni precedenti e con i racconti dei nonni che quelle macchine le usavano per davvero per andare in giro, come spiegano da anni ai nipotini ormai cresciuti:  
Quando ero piccolo io non c'erano i segnali autostradali, ma tanto in paese eravamo in tre famiglie ad avere la macchina. Mi ricordo che la nostra era bellissima, con i sedili in pelle e il cruscotto in legno lucido. Mio padre ci portava in giro a turno se glielo chiedevamo. Ci sentivamo dei gran signori: tutti gli altri usavano ancora il calesse.
Racconti che portano davvero indietro nel tempo e che descrivono un mondo che ormai sembra lontano anni luce, quasi come se potesse esistere solo nelle fotografie e nei romanzi ambientati nella prima metà del Novecento. 

L'atmosfera di quei tempi lascia oggi l'amaro in bocca a chi li ha vissuti. Anni anche di guerra e tragedia, ma in cui forse le cose si vivevano in modo più semplice, almeno per chi più che nella città di Brescia, viveva nella sua provincia, in campagna, dove la fame e la miseria erano grandi, ma bastava anche poco per essere felici. 

Uno spirito che viene ben descritto da Franco Camerini, professore di lettere classe 1921 originario di Pralboino, che, nel suo libro El ciar de 'n solfanèlo. Poesie in dialetto di Pralboino (Edizioni della Contrada, Brescia 1993) trasforma il dialetto bresciano in una lingua poetica, coniugandolo con la letteratura alta. 
 
Il professor Camerini descrive così la vita quotidiana della sua gioventù, ma anche i suoi ricordi, i sogni e gli ideali, con la semplicità del dialetto bresciano, che è un dialetto spesso duro, ma immediato e che dal professore viene usato con libertà in quanto lingua degli affetti e della giovinezza.

Le parole di Camerini diventano esemplificative di un modo di essere tipico del bresciano, che vive in un mondo fortemente pratico da cui deriva una filosofia di vita molto diretta, che guarda in faccia la realtà per quello che è. Un esempio molto chiaro di questo è la poesia Argü i la pensa issé (Qualcuno la pensa così): 

Al mont, che ‘èns la guera, 
i-è mia chei- ‘arda ‘n ciel, 
ma che ‘arda ‘n tera.*

Ma la brescianità è anche fatta di momenti convivialità e di condivisione, così come mette in luce la poesia Al tavolo della pace:

Me cüsì Giovanì, se 'ndò a troàl, 
el cur a destacàm da 'n baldachì 
en salàm casalì, 
chèl pö gross; 
entat el dis: 
"Ta fo tastà chest ché 
perchè l'ho fat sö mé. 
Ta sentaré che roba."
Col cortèl de cusina
ema slonga la prima fitilina. 
Mangióm töi du e beóm 
du bicér fina 'font. 
Issé metom en pace 'l mont.**

Di questo modo di essere semplice, ma articolato, io porto con me i ricordi dei miei nonni e una schiettezza netta ed immediata. Le mie origini mi hanno insegnato a guardare le cose per quello che sono e a far seguire al pensiero l'azione in modo da realizzare i miei sogni, perché ha ragione Camerini quando scrive ne I sogn (I sogni):

Daga de béer al cör, tègnel sö alégher:
l'è 'n pòer cristo apòa lü come 'n petòch,
che sa ferma a le porte sporch e négher
a catà sö 'n quach ghèl per deentà ciòch.***
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Al mondo, che vincono la guerra, / non sono quelli che guardano in cielo, / ma che guardano in terra.
** Mio cugino Giovannino, se vado a trovarlo, / corre a staccare dal baldacchino / un salame casereccio, / il più bello e il più grosso; /intanto dice: / "Ti faccio assaggiare questo / perché l'ho insaccato io. / Sentirai che roba." / Col coltello da cucina / mi allunga la prima fetta sottile. / Mangiamo entrambi e beviamo / due bicchieri fino in fondo. / Così mettiamo in pace il mondo.
*** Dàgli da bere al cuore, tiénilo allegro: / è un povero cristo anche lui come un mendico, / che si ferma sulle soglie, sporco e nero, / a elemosinare qualche monetina per ubriacarsi.