giovedì 14 febbraio 2013

San Valentino: c'è davvero bisogno di un giorno programmato per amarsi?



Devo ammettere che non sono mai stata una grande fan delle ricorrenze imposte, se non fosse che spesso, perlomeno, coincidono con le vacanze. Quando si avvicina il Natale, per esempio, nel momento in cui vedo come la città si riempie di lucine sin da ottobre trasformandosi in una sorta di paccottiglia colorata e iridescente, mi sale un nervoso che metà basta. Per non parlare dei triti e ritriti film di Natale pieni di di cliché scadenti che hanno solo l'obiettivo di alimentare il consumismo attorno a un evento che sembra aver perso la sua valenza religiosa in favore di un buonismo ipocrita .

Per motivi più o meno simili non sono un'estimatrice nemmeno di San Valentino, e questo sin dal giorno in cui alle elementari i bambini più grandi mi insegnarono il noto ritornello: "San Valentino, la festa di ogni cretino che invece di essere amato viene soltanto fregato". Anche se ai tempi non ne comprendevo il vero senso, era una filastrocca che mi faceva ridere. Più avanti è solo diventato un banale Leitmotiv di richiamo annuale che aiutava a porre l'accento sulla mia indifferenza verso una festa che mi ha sempre messo tristezza. Quello che mi indisponeva verso San Valentino è che mi è sempre venuto spontaneo domandarmi: c'è davvero bisogno di un giorno programmato per amarsi, farsi magari un regalo o uscire a cena o fare altro per spezzare la routine?

Per anni, quindi, ho pensato che San Valentino sostanzialmente fosse una ricorrenza inutile e mi sono sempre più vista come una persona da San Faustino, non tanto perché è la festa dei single (che poi, a dirla tutta, è la festa dei non ancora innamorati), ma più che altro perché essendo bresciana è sicuramente un giorno più divertente: innanzitutto perché è vacanza, in secondo luogo perché c'è la fiera, un bagno di folla e ninnoli che amo profondamente.

La verità è però che poi la vita molto spesso ti porta a cambiare prospettiva e modo di vedere le cose, spesso anche quasi senza riuscire ad accorgersene subito. Per quanto riguarda me, mi sono resa conto che da quando sto con una persona davvero speciale, che mi ha fatto imparare cosa significhi amare (di certo non semplici bigliettini a forma di cuore e mazzi di rose, anche se, di certo, non si disdegnano mai), il mio modo di vedere San Valentino e ricorrenze simili è cambiato completamente.

Me ne sono resa conto nel mio ultimo viaggio a Parigi in cui sono andata a trovare il mio bello che ormai vive e lavora lì (eh sì, lui è proprio un ottimo esempio di cervello in fuga) durante una chiacchierata con il suo coinquilino francese. Ero salita nella città della luce anche per festeggiare il nostro quarto anniversario e il suddetto coinquilino non riusciva a capire che senso avesse uscire a cena per tale occasione o farsi addirittura dei regali, perché alla fine ci si ama sempre tutti i giorni e non servono momenti definiti per stare insieme. Insomma, ha posto le stesse obiezioni che pongo io di solito di fronte a ricorrenze come San Valentino. La cosa che a questo punto mi ha fatto capire il mio cambiamento è che di fronte a un discorso simile invece di dargli ragione ho sostenuto il valore della ricorrenza. 

La ricorrenza, che venga da fuori o che abbia origine dal proprio vissuto, infatti, non è nient'altro che una scusa per stare insieme. Una scusa per farsi un regalo una volta di più, per spendere un po' di soldi per uscire a cena (non siamo tutti milionari del resto), per coccolarsi in due e festeggiare il proprio amarsi dedicandosi del tempo ripulito da tutte le difficoltà del quotidiano, qualunque esse siano.


Ci sono periodi in cui non si fa altro che correre dietro agli impegni rischiando di venire risucchiati nel marasma del tran tran quotidiano e se in tutto questo l’amore di un’altra persona è un grande sostengo, è anche giusto che all’amore stesso venga dedicata una festa ad hoc. In questa prospettiva una ricorrenza come San Valentino non è tanto importante perché si deve ricevere un regalo o andare fuori a cena, ma perché è una scusa per prendersi veramente una pausa dal mondo e stare semplicemente insieme dedicandosi all'amore che si prova l'uno per l'altra, magari anche solo con una bottiglia di vino e ancora tanta voglia di ascoltarsi l'un l'altro o, semplicemente, di tenersi per mano.

2 commenti:

  1. La differenza è tra il "prendersi delle pause", del creare dei "riti" (parola a te cara! ;P) per celebrare ("come un prete sull'altare", come dice il buon Gazzè) il proprio stare insieme e l'esistenza dell'altro nella propria vita; e il farsi imporre questi riti dalla logica mercantilista, che sicuramente ha tutt'altro fine rispetto a quello bello evocato dalle tue parole.
    Il problema di tutte le feste, è che ormai a noi giunge quasi soltanto il loro significato stilizzato frutto della assimilazione prosciugante che ne ha fatto la logica monetaria, e difficilmente ci perviene il suo autentico senso "religioso" (Natale e s.valentino sono due buoni emblemi della perdita del religioso orizzontale e verticale). Punto.
    s.v.
    (NO fraintendimenti ciellini, bitte! :P)

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  2. Premessa: non c'è niente di ciellino nel definire le feste attuali prive di religiosità. Anzi...

    Ma è appunto di questa carenza di religiosità che mi sono stufata. Vedere tutto continuamente piegato ad un consumismo disperato mi opprime e calpesta il mio umore.
    Però non voglio nemmeno cedere a questo consumismo.
    Ho davvero bisogno di pensare che ci sia ancora qualcosa dietro le lucette natalizie e il profluvio di cuori a S. Valentino.
    Io credo tanto in quel concetto che talvolta viene chiamato "interpretazione" e altre volte "comprensione simbolica del reale": sono convinta che stia in noi la possibilità di vedere cosa veramente si trova al di là di messaggi banalizzati.
    In questo senso io credo nel valore dei riti (eh già). Anche per me è uno sforzo maledetto andare oltre i miei riti personali e avere fiducia anche nei riti imposti, ma veramente vogliamo arrenderci al puro consumismo?
    Io no di certo.

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