martedì 27 marzo 2012

Cuffie bianche

 

Citazione da sapere per essere colti:
La neostoria, non avendo altro luogo verso cui convogliare le correnti sempre più rapide del suo flusso eracliteo, si volgerà verso la moda e il mercato, che si concepiscono ormai come una profonda realtà ontologica ed economica, misteriosa e irrevocavile quanto lo era un tempo la natura.

Fredric Jameson

Mi guardo intorno sonnecchiando in metropolitana: di fronte a me si trova una signora anziana che si regge mollemente su un bastone, con la coda dell’occhio riconosco sulla mia sinistra il vestito colorato di un’africana e in fondo alla carrozza vedo un ragazzo che ascolta la musica e batte il tempo con il piede sul pavimento di linoleum. Le cuffie del suo lettore sono bianche, immagino subito che stia usando un prodotto della Apple e in effetti, poco dopo tira fuori dalla tasca un iPhone a cui le cuffie sono attaccate.
Il ragazzo si accorge che lo sto guardando. Con un cenno gli mostro le mie cuffie, anch’esse bianche e allora lui mi sorride.
Il vagone si ferma e si aprono le porte.
Sono arrivata alla mia fermata e devo scendere.
Lancio un ultimo sguardo al ragazzo per poi gettarmi nel marasma della gente che corre per andare a prendere il treno.


La riconoscibilità di un brand permette oggi di riconoscerci gli uni con gli altri come appartenenti ad una medesima realtà, ad un medesimo mondo. Si creano sottogruppi legati al possesso di un prodotto di un determinato marchio e si instaura un legame particolare tra i suoi membri, che sono interconnessi fra loro grazie alla potenza simbolica del proprio acquisto.
Il fatto è che le relazioni interumane si fondano su legami sempre più basati sulla condivisione di interessi, così come testimoniano la formazione di gruppi su internet in cui perfetti sconosciuti interloquiscono tra loro su temi che invece sono di comune interesse.
Il rapporto umano finisce quindi per essere intessuto non più solo sul piano dell’incontro diretto e nel mondo reale[1], ma è creato attraverso una serie di molteplici mediatori, di cui “la moda e il mercato”, a cui si riferisce Jameson, non sono che un esempio delle diverse possibilità che possono arrivare a metterci in relazione gli uni con gli altri. Tutte queste modalità hanno oggi acquisito un’importanza e una pregnanza tali da assumere “una profonda realtà ontologica”, ovvero uno spessore irrinunciabile, un nucleo fondante e fondato nel sistema di creazione di sé e delle relazioni con gli altri.
Spesso infatti si affida al marchio non solo il riconoscimento della comunanza con altre persone, ma anche il senso della propria identità, che finisce per essere la somma di tutti quegli aspetti ordinari e quotidiani che compongono le nostre giornate. Per esempio se compro un Mac arriverò a possedere nell’immaginario collettivo, che io condivido anche inconsciamente, certe caratteristiche peculiari che sicuramente differiscono da quelle di chi compra un “semplice” pc. Lo stesso vale se scelgo di affidarmi al messaggio lanciato da una borsa di Louis Vuitton piuttosto che da una di H&M – un affidarsi che può accadere altrettanto inconsapevolmente. E tutto questo per il puro valore che viene simbolicamente assegnato agli oggetti che si acquistano all’interno della rete sociale a cui si appartiene.
In questo senso allora sembra che il tipo di moda che si sceglie (o non si sceglie) di seguire finisce per caratterizzarci e identificarci nel mondo in un modo a dir poco sorprendente, al punto che la nostra identità appare come disseminata di prodotti che ne caratterizzano il livello di profondità o superficialità.
Come superare questa mediazione apparentemente incontrovertibile?
Si potrebbe decidere di scendere ad un’altra fermata e cercare di conoscere quel ragazzo seduto là in fondo, quello che ascolta la musica con le cuffie bianche.


[1] Intendo qui reale come opposto di virtuale.

Nessun commento:

Posta un commento