giovedì 6 ottobre 2011

Il futuro del giornalismo. Etica e professione

“La stampa è il cane da guardia della democrazia. Al giornalista si chiedono: competenza, tecnica, cultura ed etica”. Così ha esordito Letizia Gonzales, Presidente OdG della Lombardia, al convegno indetto oggi per riportare i risultati dell’indagine “Etica e professione” affidata a Enrico Finzi, Presidente AstraRicerche, realizzata su questionari compilati sia da giornalisti che da cittadini italiani che vanno dai 15 ai 70 anni. Alla tavola rotonda sul tema hanno poi partecipato Pier Gaetano Marchetti (Presidente Rcs Mediagroup), Roberto Napoletano (Direttore de Il Sole 24 Ore), Marco Tarquinio (Direttore di Avvenire), Luca Telese (giornalista de il Fatto quotidiano), Annamaria Testa (pubblicitaria, docente Università Bocconi di Milano), Massimo Tafi (Presidente Mediatyche agenzia di comunicazione) e Roberto Natale (Presidente Fnsi), moderati da Walter Passerini (vice direttore Master in giornalismo dell'Università statale di Milano).
La ricerca di Finzi si è concentrata sostanzialmente su cinque questioni principali: cosa è etico per un giornalista (uno dei problemi emersi in merito è quello dell’occultamento del servaggio); come diffondere i comportamenti propri del giornalismo etico; il grado di eticità dei diversi mezzi di comunicazione (internet, i quotidiani, la televisione, …); cosa difende l’etica del giornalismo in Italia (il primo posto va proprio all’OdG e il secondo alla coscienza personale); le azioni possibili per accrescere l’etica del giornalismo (la maggior parte dei compilatori ha insistito su il taglio delle sovvenzioni e una formazione migliore).
A partire dagli spunti offerti da questa indagine si sono sviluppati gli interventi dei diversi partecipanti, che non hanno dimenticato di denunciare le carenze e i limiti del giornalismo attuale legati sia alla realtà sociale che al mondo economico-politico. Presenti e forti sono state dunque le critiche anche nei confronti del comma 29 del Ddl intercettazioni, che ha portato lo stesso Finzi al colmo dell’indignazione, al punto che egli ha affermato: “Quello del carcere per i giornalisti è un esempio di pornografia politica”; mentre Telese ha ricordato il comunicato degli ultimi giorni fatto da Wikipedia, che ha permesso di richiamare un’attenzione nazionale e globale sul problema della libera informazione in Italia. Inoltre, secondo Marchetti, le sanzioni non fanno altro che mettere in difficoltà l’editore nei confronti del giornalista, costringendolo a superare le barriere etiche e professionali attraverso la necessità di controlli comportamentali che ledono al rapporto di fiducia tra le due categorie e alla libertà dei singoli giornalisti.
Dalla ricerca di Finzi i giornalisti sono risultati essere molto più critici dei cittadini italiani rispetto ai temi della deontologia e dell’etica professionale ed effettivamente anche nel convegno le voci di (auto)critica non sono mancate. Lo stesso Passerini ha affermato che le questioni etiche del buon giornalista non possono essere ridotte a considerazioni di carattere puramente coscienziale, ma che è importante marcare invece delle linee guida, delle griglie di comportamento. Oltre a questo Passerini ha sottolineato che i giornali non possono fermarsi solamente a quelli che lui ha chiamato i “temi della giornata” o le “vie di fuga”, perché spesso questo atteggiamento finisce per coincidere con la dimenticanza del loro ruolo propositivo, che può essere fondamentale, per esempio, in campo economico.
Proprio a Napoletano è stato quindi posto il problema della trasmissione di tale propositività in un settore specialistico come quello de Il Sole 24 Ore e dell’assunzione di responsabilità nei confronti di tematiche fortemente incisive sul pensiero italiano (es. affermare che “l’Italia va in default” ha evidentemente un certo peso). Il direttore del giornale ha sottolineato quindi tre aspetti fondamentali della sua linea di pensiero e lavoro: anzitutto il valore della sensibilità, come componente capace di dare il giusto peso alle notizie, indipendentemente dalla settorialità della testata; in secondo luogo, lo sforzo di raccontare i fatti in modo che tutti lo possano capire (facendo leva, nel suo caso, sulle “parole chiave”); infine, l’assunzione di responsabilità come presupposto fondamentale di tutto il lavoro, basata su una forte competenza e cultura che permettono di realizzare commenti e valutazioni pensati e affidabili.
Il tema della responsabilità tocca però profondamente anche i due rappresentanti del settore pubblicitario, Anna Maria Testa e Massimo Tafi, che appartengono ad un ambiente che essi stessi riconoscono essere spesso fortemente denigrato e considerato spregevolmente.
Anna Maria Testa ha sottolineato la corruzione del mondo pubblicitario attuale che tende a rappresentare una realtà italiana come se fosse fatta solo di giovani e donne, quando il potere rimane in mano a uomini anziani. Il linguaggio pubblicitario si è quindi come appiattito, banalizzato, è stato svuotato di significato e di senso e questo a causa della sproporzione quantitativa, che incide profondamente sulla qualità del prodotto. Piuttosto, secondo la Testa, servirebbero più humor e ironia come negli altri paesi europei, onde permettere un recupero qualitativo.
Tafi ha messo in luce invece tre questioni fondamentali: in primo luogo, la necessità di separare le carriere di giornalisti e pubblicitari, comunicatori; secondo, il problema della pubblicità spesso utilizzata come minaccia, capace di manipolare, grazie al suo potere economico, le scelte del mezzo mediatico; la riprovazione sociale, per cui giornalisti che si sono rilevati inaffidabili vengono al momento fortemente criticati e denigrati, senza però che le loro notizie, infondate, inventate e false, vengano escluse dal cerchio dell’informazione. Tafi propone un ideale diverso, un ideale per cui il lavoro del comunicatore e dell’ufficio stampa è proprio quello di mettere in comunicazione realtà diverse, di creare relazioni nuove, di rendere trasparenti realtà che altrimenti resterebbero opache.
Ancora in tema di pubblicità Marchetti sottolinea con forza la necessità di non far entrare pubblicità occulta negli articoli, possibilità fortemente allettante soprattutto in un tempo di crisi come il nostro. Infatti “l’ammiccare all’utente pubblicitario non è un punto di forza nemmeno per l’utente pubblicitario, perché la testata non ha forza, non ha più credibilità”. Quello di cui il nostro Paese ha piuttosto bisogno sono coscienza, reazione e coraggio, che permettono di pronunciare parole chiare. Il presidente ha riflettuto poi, su provocazione di Passerini, sulla questione dei giornalisti sottopagati, affermando che sostanzialmente il problema è un problema generalizzato, che non riguarda solo il settore intellettuale, ma l’Italia intera e consiste in un’assenza di equilibrio e giusta distribuzione delle risorse economiche nei settori di rilievo sociale, tanto che Marchetti afferma: “Più il lavoro è socialmente importante, meno viene pagato. Basta vedere quanto sono pagate le maestre elementari”.
Natale, intervenuto su richiesta di Passerini, non è invece d’accordo col pensiero di Marchetti e sostiene che in primo luogo dovrebbero essere proprio gli editori a dover realizzare questa riorganizzazione economia in chiave più equa e che con questo buon esempio potranno poi essere un modello per l’Italia intera. Anche Natale riflette poi sulla “legge bavaglio” e afferma che una simile riforma va verso “sporche vendette nei confronti dell’ordine” e non di certo nella direzione di una correzione dei difetti dei giornalisti per aumentarne l’etica professionale. Egli quindi sottolinea che “l’opinione pubblica vuole buona informazione e non pensa che siamo dei guardoni che devastano le vite private”, e lo sostiene sul fatto che, se la legge dovesse passare, si potrà ricorrere non solo alla Cassazione o alla Commissione Europea dei Diritti Umani, ma anche far leva su quel 57% di italiani che sembrano mostrare ancora un qualche interesse politico così come hanno dimostrato votando per il referendum.
L’intervento di Telese pone invece l’attenzione a diverse questioni giornalistiche fortemente intrecciate tra loro. Innanzitutto ricorda che è necessario chiarire la differenza tra chi come giornalista delinque e chi invece cerca la verità e di trasmettere l’informazione, così come è importante sia fare in modo di evitare che i giornalisti siano costretti a seguire la stessa notizia per decenni e che non dimenticare di perseguire le indicazioni del buonsenso, che permette di accettare la diversità ideologica come una ricchezza d’opinione e confronto, piuttosto che leggerla solo come “il nemico”. Telese riflette quindi sulla libertà d’informazione secondo due filoni. Primo, analizza la libertà in internet, che riconosce essere sia democratico, perché permette a ognuno di dire la sua, sia “un bidone”, perché alla fine non esiste filtro per le informazioni e la maggior parte delle volte si tratta solo di un’unica fonte che sulla base della frequenza diviene autorevole pur essendo magari solo un’opinione sul tema. In secondo luogo, Telese sottolinea che la libertà non è una questione oggettiva, ma soggettiva, perché non tutti possono permettersi di rifiutare, soprattutto se giovani.
Su questa scia Tarquinio pone con forza l’accento sulla questione giovani e precariato e su come la grande stampa non se ne sia sostanzialmente occupata, pur essendo questa situazione quella di un “furto di futuro”, al punto che, forse, piuttosto che occuparsi di politica sarebbe meglio dedicarsi a tali temi. Questo tipo di riflessione mette in luce il cardine fondamentale della linea di pensiero di Avvenire: l’idea di costruire il giornale guardando alla sostanza della vita delle persone. Proprio per questo il giornale si concentra su realtà come la fame nel mondo, le inchieste sui morti per faide religiose, il rifiuto delle pubblicità malfatte, la scelta di non pubblicare intercettazioni per non cadere in problemi di violabilità, la verifica dei fatti, soprattutto in un’epoca in cui l’informazione è rimasticata (il 95% delle informazioni su internet sono infatti rimasticature dei giornali di cui non rimane nient’altro che l’osso, uno slogan).
In conclusione, si può dire che l’immagine del mondo del giornalismo è oggi un’immagine frammentata, spezzata tra legalità e illegalità, giochi di poteri e desideri di trasparenza, precariato e retribuzioni eccessive. Eppure si riscontra ancora un forte desiderio comune: quello di dar rilievo all’informazione di valore.

Nessun commento:

Posta un commento