“T’amo, come amo la volta notturna,
anfora di tristezza taciturna,
più fuggi, bella, e più forte io sento
amore; tu, delle mie notti ornamento,
vai scavando con ironia distanze
tra i miei sensi e le azzurre lontananze.
Vengo all’attacco, all’assalto ritorno
Come su un morto i vermi tutt’intorno.
T’amo, animale crudele che offende,
t’amo nel gelo che bella ti rende.”
(C. Baudelaire, I fiori del male,
“XXIV - T’amo, come amo la volta notturna”)
Tendere
una mano verso l’Altro, cercare di toccarlo e con questo stesso atto di
svelarlo, di scoprirne il segreto e di farlo proprio: questa è la
carezza erotica, la carezza che cerca e che fruga, che “esprime
l’amore ma soffre di un’incapacità di dirlo”. La stessa carezza che non
sembrava appagare Lévinas, ma di cui lui stesso non poteva fare a meno.
La voluttà infatti non arriva a colmare il desiderio, ma rappresenta il
desiderio stesso. Un desiderio di ricerca dell’Altro che non contempla
un completamento ma si dilania in se stesso ampliandosi senza mai
trovare una fine. Scoprire il segreto dell’Altro vuol dire infatti
scoprirne l’infinità, e dunque comprendere, con dolore, che non sarà mai
possibile dissipare quelle tenebre che lo circondano, che il mistero
non verrà mai svelato, che il mio andare verso di lui sarà sempre un
salto nel buio, una miscela terrorizzante di imprevedibilità e possibile
rifiuto.
Eppure
la carezza dell’uomo non si arrende, continua imperterrita il suo
viaggio sul quel corpo, nel tentativo di profanarne l’anima serrata fra
le membra calde e lucide, mentre l’Amore resta in silenzio, perché la
nudità erotica dice l’indicibile, quell’indicibile che ognuno può
comprendere, che non solo scalda cuore, ma lo infiamma.
Quello
che sorge è così un sentimento di lontananza, di incolmabili cieli
stellati che dividono due cuori anche nel momento della massima unione.
Questo riporta alla mente miti lontani, come il racconto di Aristofane
sull’Amore: “Ciascuno
di noi è […] come la metà di un uomo intero: infatti, è stato tagliato
come accade alle sogliole, da uno in due; e ciascuno, quindi, cerca
sempre la metà a lui corrispondente”. Ognuno di noi ricerca il suo Altro, quella metà da cui è stato brutalmente diviso, quella metà per cui prova nostalgia.
Sì,
Nostalgia. Nel cuore dell’uomo è infatti come se uno spazio fosse già
stato preparato per percepire, dicendola con Platone, mancanza,
insufficienza, bisogno e nello stesso tempo desiderio di acquistare e
conservare ciò che non si possiede. E questo è l’Amore. L’Amore è
percezione di una mancanza, ma se qualcosa manca è perché in qualche
modo lo si era già posseduto: l’Amore dunque è nostalgia.
Si
soffre del fatto che colui che si vorrebbe conoscere meglio di se
stessi è irrealtà irraggiungibile, si soffre della distanza dall’Altro,
tanto materiale quanto spirituale.
Forse
è per questo che per l’uomo è più facile fare unicamente accenno alle
differenze inconciliabili e alle lontananze impercorribili. In questo
modo si surclassa il bel dolore della ricerca e la sua fatica facendo
perno su quello che dovrebbe essere l’oggetto del lavorio continuo del
proprio animo: la Diversità, ovvero la dote e la qualità dell’Altro che
più fa paura. Ma se la diversità non si accetta allora restano solo
terrore e rabbia legate alla propria incapacità di comunicare e a quella
dell’Altro, e il rapporto con l’Altro diviene un conflitto
interminabile destinato a vedere perdenti entrambi i partecipanti.
Standard di normalità diviene così una sorta di “relazionalità della
sopravvivenza”, in cui si punta al minore coinvolgimento emotivo, al
mantenimento del proprio orgoglio additando la pretesa di voler
nonostante questo comunicare con l’altro e alla totale solidità di se
stessi, una solidità a cui l’Altro deve aderire perfettamente.
Abbiamo
paura. Paura di soffrire, di non essere corrisposti e allora ci
adagiamo nella massificata superficialità esistenziale che senza troppi
fronzoli ci viene regalata ogni giorno dal mondo in cui viviamo.
Eppure
Amore è smussare gli angoli, andare incontro all’Altro, cercarlo,
tornirlo con le proprie braccia, difenderlo, semplicemente, amarlo.
Amore non è un’intenzionalità di svelamento, ma di ricerca, è accorgersi
del pudore dell’Altro, dove il pudore non può essere svelato, come un
segreto – si è visto che non si
può – ma solo profanato, violato. Il pudore così risveglia la non
patologica reazione nei confronti del tentativo di relazionarsi e
comunicare con l’Altro nel momento in cui si sorpassano le prime
muraglie difensive: l’imbarazzo. L’imbarazzo è infatti abbassare lo
sguardo per la vergogna della propria violazione, riconoscere la
difficoltà dell’abbattere il proprio orgoglio per parlare con l’altro,
accettare di non poter mai comprendere appieno chi ci sta di fronte e di
sbagliare, magari anche riderci sopra. In una società come la nostra,
una società senza pudore, l’imbarazzo è dunque un nobile atteggiamento e
simbolo di innocenza e purezza che potrebbe essere considerato una
nuova virtù, la virtù di chi ha deciso di Amare.
Direttamente da Thema.
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