venerdì 26 aprile 2013

#Epinovel01 #raccontiditreno: "Progetti"


Ogni giorno è fatto di tante piccole cose, come sguardi, situazioni, poche parole ... eventi più o meno definiti che lasciano lo spazio per immaginare e sognare, correre in avanti nel tempo e vivere una nuova avventura. 

Il mio racconto pubblicato su Epinovel, Progetti, parla di questo, ovvero della capacità di immaginare che ognuno possiede e che permette di andare al di là del dato di fatto e di perdersi in un mondo di sogni. 

Ma occhio, alle volte sognare troppo rischia di lasciare che la realtà proceda da sola...

Giunto il treno salirono sullo stesso vagone e lei si sedette in uno dei due posti di fronte a lui: lei aveva scelto di sedersi lì, dove c’era lui, oppure era stato un caso?

Se avete voglia di leggere il racconto per intero basta andare sul sito di Epinovel, piattaforma di social writing che ha iniziato dal primo di aprile la sua attività come spazio di condivisione di idee e racconti, sempre legati ad un epicentro letterario. Questo mese il tema scelto dalla redazione è stato #raccontiditreno

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domenica 14 aprile 2013

La lampada Arco di Achille Castiglioni



In questi giorni mi sono ritrovata a dover scrivere un pezzo in occasione del Salone del mobile di Milano, ovvero la biografia dei fratelli Castiglioni. Dei tre fratelli il più noto è Achille Castiglioni (1918-2002), designer milanese che ha cambiato il significato del disegno industriale e di cui molte opere sono conservate nelle collezioni permanenti di importanti musei di tutto il mondo (un esempio su tutti: il MoMa di New York).
Premetto che non sono una grande esperta di design e che tutto quello che so deriva dal Fuorisalone, dalla sezione dedicata al design del Centre Pompidou di Parigi e dalla mia curiosità per oggetti di forme e colori particolari che mi spinge alla ricerca di mercatini, negozietti e aree dei grandi centri commerciali ad essi dedicate.

Achille Castiglioni però fa un po' caso a sé perché lo conosco da diversi anni grazie alla mia prima coinquilina, che studiava Architettura al Politecnico di Milano. 

Un giorno delle nostre prime settimane in quel di Milano stavamo andando a fare la spesa e lungo la strada, verso il supermercato, abbiamo scoperto un negozio di lampade davvero bello e, stando a quello che lei mi disse, di design. Fra le molte lampade esposte me ne indicò una in particolare: una lampada dallo stelo arcuato con una base di marmo con un buco circolare che lo attraversava. 

Non era la prima volta che vedevo una struttura simile, ma lei disse che quella era la lampada Arco di Achille Castiglioni e che si capiva che era proprio quella e non un'altra, una copia o un'imitazione, per la base di marmo. La mia coinquilina era stata allo Studio museo del designer in piazza Castello con l'Università e lì le avevano spiegato che Castiglioni aveva pensato il foro che attraversa la base di marmo come quell'elemento che consente, infilandoci un bastone, come il manico di una scopa, di spostare facilmente la lampada da un'altra parte. Mi aveva spiegato, inoltre, che quella lampada da terra aveva la particolarità di permettere di avere il punto luce direttamente sopra il tavolo e che quindi era la lampada perfetta per un architetto. 

Oggi, ogni volta che vedo una lampada con la struttura ad arco, penso a Castiglioni e alla questione del copyright, ai suoi disegni industriali che non erano solo il progetto per oggetti, ma per vere e proprie opere d'arte, e, soprattutto, che non vedo l'ora di avere una casa mia per arredarla e porvi anche una lampada come quella.


venerdì 12 aprile 2013

Le buone notizie come prospettiva di cambiamento



Quando la normalità è data dal male, il bene diventa notizia.

Così si conclude l'articolo Su Internet gli eroi nascosti delle buone notizie di Giangiacomo Schiavi sul Corriere della Sera di oggi, che annuncia la nascita di una nuova rubrica su Corriere.it marcata dall'hashtag #Buonenotizie.

L'obiettivo del Corriere è quello di raccogliere il maggior numero di notizie positive per portare un messaggio positivo, cercando di dare meno spazio agli esempi negativi per accenturare invece il valore delle buone pratiche. Schiavi infatti sottolinea che:
Ci sono in Italia ogni giorno tanti esempi di altruismo e generosità che non compaiono nelle cronache dei giornali o nei siti web: nel mare della crisi si legge soprattutto di drammi e di buchi di bilancio. Abbiamo bisogno di fiducia e di riconoscerci in qualcosa che dia qualche speranza: oltre al buio c'è anche qualche luce. 
Questa iniziativa è indubbiamente condivisibile, anche perché da quando, per lavoro, passo ogni mattina a leggere più giornali, mi ritrovo già verso le 10 con uno spirito adombrato dall'ansia per la crisi economica e la decadenza politica che-se-va-avanti-così-finiremo-come-la-Grecia, dall'angoscia legata alle notizie di cronaca che parlano sempre di omicidi, suicidi, incidenti, drammi e tragedie... e dalla depressione dovuta alla consapevolezza sempre più crescente che la cultura, l'arte e qualunque cosa bella ha sempre meno spazio nelle menti e nei cuori di chi abita in questo Paese.

In sostanza, l'eco di una buona notizia o di una bella iniziativa è come aria fresca nella fitta oscurità che pervade l'informazione giornalistica, dove alla croncana nera si sostituisce troppo spesso la cronaca rosa piuttosto che una notizia positiva.

Vero è che questa decisione presa dal Corriere risveglia in me uno dei ricordi legati al mio attivismo in AmnestyEDU, sezione di Amnesty International, a Milano. In una scuola media avevamo trovato un gruppo di allievi molto promettenti e una professoressa che si era lasciata coinvolgere molto dalla nostra attività. Concluso l'incontro con l'ultimo laboratorio avevo preso in disparte la professoressa e le avevo regalato la mia copia (stampata malamente ma almeno ecofriendly) del testo Attività introduttive e giochi di ruolo all'interno del Percorso didattico contro la discriminazione pensato proprio per la scuola secondaria di primo grado. Le avevo consigliato alcuni laboratori e in particolare il quarto e ultimo laboratorio della sezione Sviluppare l'empatia, che, guarda caso, si chiama proprio Buone notizie. Lo riporto di seguito:
I giornali sono soliti enfatizzare notizie di crimini, ingiustizie e altri fatti che ci creano la
sensazione desolante di un mondo in cui nessuno si interessa o si cura degli altri. Questa
attività vuole far capire ai ragazzi che esistono modi diversi di relazionare con gli altri e una
società in cui “io mi prendo cura” è possibile.
Tempo: 30 minuti
Materiali: Articoli di giornale; Cartellone
Preparazione: La preparazione richiede un impegno di parecchie settimane. I ragazzi dovranno infatti raccogliere articoli da giornali o on-line in cui si raccontino buone notizie: es. il ritrovamento e larestituzione di oggetti di valore, l’impegno di singoli o di associazioni per il proprio quartiere,la propria città ecc.

Svolgimento:
1. I ragazzi incollano su un cartellone da appendere in classe gli articoli che hanno raccolto.
2. Gli articoli sono letti e commentati. Si apre poi una discussione aiutandosi con le domande che seguono:
a. Chi sono i protagonisti degli articoli?
b. È possibile o è difficile agire come loro? Perché?
3. I ragazzi possono continuare a raccogliere le “buone notizie” e riferirle di tanto in tanto ai
compagni
Ancora oggi mi chiedo se quella professoressa abbia seguito il mio suggerimento e iniziato un percorso di questo tipo con i suoi allievi rappresentando, insieme a molte altre, una di quelle buone pratiche che il Corriere potrebbe raccontare nella sua nuova rubrica.

Non sapendo effettivamente come sia andata, mi piace pensare che la professoressa lo abbia fatto.

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Anche su Thema.

lunedì 8 aprile 2013

Fuga di cervelli: trasferirsi all'estero è un destino?

 

Sul Corriere della Sera ho letto la lettera di un architetto italiano che dal 1995 vive a Berlino e non riesco proprio a togliermela dalla testa.

Pietro Balp racconta la sua esperienza di vita in Germania mettendo in evidenza aspetti che nella nostra quotidianità italiana sono lontani anni luce:
Da sette anni circa ho fondato uno studio di architettura con un collega tedesco. Con noi, lavorano dieci persone. Le loro età vanno dai 24 ai 35 anni. Nessuno è stagista, né ha mai lavorato gratis. Nessuno di loro ha dovuto aprire una partita Iva per poter lavorare.
Già solo per questo motivo Pietro Balp ha tutto il diritto di scrivere che "dal punto di vista della cultura del lavoro tra Italia e Germania c'è un abisso, indipendentemente dalla crisi"

A questa frase egli aggiunge poi significativamente:
La mia compagna non ha dovuto sacrificare la sua carriera per nostra figlia Nina, che da quando ha dieci mesi frequenta un asilo nido pubblico.

Ora, è evidente che ciò che scrive il signor Balp non è particolarmente nuovo, nel senso che è noto che pur avendo l'Italia un debito pubblico molto alto, la spesa per il welfare è inferiore rispetto a quella di Paesi come la Francia o la Germania. Quello che mi stupisce è proprio che a leggere queste testimonianze ci si stupisca ancora. Continuo a chiedermi perché cose apparentemente tanto necessarie, come gli asili nido e una determinata concezione esistenziale in cui alla prestazione lavorativa corrisponde uno stipendio, siano così lontane dal nostro modo di vivere. È frustrante sapere che per ottenere certi servizi ed una determinata qualità di vita sembra che non si possa fare altro che rassegnarsi e trasferirsi all'estero.

Ma forse è il destino di noi Italiani quello di essere un popolo di migranti. È nel sangue dei nostri avi, ormai naturalizzati americani, francesi o tedeschi, la voglia di spostarsi per cercare una prospettiva migliore. L'unica differenza rispetto a quelli che negli anni passati venivano semplicemente definiti migranti è nel modo in cui vengono denominati, perché ora che noi Italiani siamo bene o male tutti istruiti questi spostamenti non li chiamiamo più emigrazione, ma fuga di cervelli.